Wabi Sabi è una concezione della realtà che guida la cultura giapponese, notoriamente caratterizzata da molta attenzione per la ricerca estetica espressa con semplicità e da una naturale grazia e gentilezza.

Si tratta di un approccio che va controcorrente rispetto alle tensioni che sperimentiamo nella vita di ogni giorno e che si accompagnano alla ricerca di “successo” (volutamente fra virgolette) economico e sociale, con il conseguente accumulo di oggetti che servono per apparire e che spesso restano inutilizzati o perdono la loro carica attrattiva nel momento stesso in cui li possediamo, generando una costante insoddisfazione.

Lo chiamo “stress da comparazione” fra ciò che alcuni modelli culturali ci propongono e ciò che rappresenta la nostra realtà e ci procura rimuginio interiore, infelicità, sensazione di non poter mai godere appieno di niente.

Ho appena terminato di leggere un libro proprio dal titolo Wabi Sabi, scritto da Beth Kempton che si è letteralmente immersa per molti anni nella cultura giapponese e illustra con uno stile semplice e coinvolgente il significato di questo stile di vita che lei definisce

l’accettazione e l’apprezzamento della natura transitoria, imperfetta e incompleta di tutte le cose” che si accompagna “ad uno stile di vita semplice, lento e naturale”.

Molte pagine di questo testo sono state per me come una boccata d’ossigeno, uno schiudersi di possibilità e di conferme su ciò che ha un reale valore nella nostra esistenza.

Accettare l’impermanenza e l’imperfezione

Da molti anni medito sul concetto di “impermanenza” e Wabi Sabi è una delle risposte più in armonia con questa realtà che fatichiamo ad interiorizzare ed è fonte di delusioni, malinconia e frustrazione,  perché il nostro irragionevole desiderio è quello di conservare per sempre intatte le cose che possediamo o le relazioni che allacciamo.

Siamo imperfetti, gli altri sono imperfetti, la vita stessa è imperfetta e questo è ciò che ci può rendere felicemente perfetti.

In questa logica, un vaso che si rompe viene riparato con cura non nascondendo le fratture ma anzi mettendole in evidenza, magari con oro o argento come nella tecnica Kintsugi, e il suo valore risiede proprio nella sua meravigliosa imperfezione.

Praticare questo stile di pensiero significa intraprendere una via che ci farà sentire più sereni e appagati, renderà il nostro rapporto con gli inciampi quotidiani più tollerante, meno legati alle cose materiali e alla possibilità di perderle o di assistere al loro decadimento, la semplicità e la serenità guideranno le nostre scelte e arricchiranno la nostra dimensione spirituale.

Ogni cosa, rapporto, esistenza è destinata a concludersi

Wabi Sabi vuol dire anche sentirci parte di un flusso temporale, accettare il fatto che la nostra vita avrà termine e considerarlo come una conclusione naturale.

Si tratta di attivare attente e sensibili antenne in grado di percepire la bellezza intorno a noi, costituita da elementi non appariscenti ma, al contrario, espressa con sobrietà e naturalezza: una bellezza che – anche solo per un istante – cattura l’anima e appaga il cuore.

Non sembra anche a voi che coltivare questo atteggiamento possa essere un efficace antidoto a tutto ciò che ci procura ansia, preoccupazione e pensieri negativi?

La bellezza è nella naturale imperfezione di ogni cosa e noi per primi dobbiamo smettere di rincorrere miti e ideali patinati che non esistono.

Dobbiamo smettere di sentirci inadeguati, incompleti, troppo grassi-troppo magri, biondi anziché mori e viceversa, rincorrendo denaro e posizione da ostentare, occupando il nostro tempo in attesa facendo cose da sottoporre al giudizio degli altri, sfiduciati e stanchi.

Cambiamo i parametri di misurazione del successo della nostra esistenza, guardiamo a ciò che ci accade con occhi curiosi e mente aperta.

Impariamo a sostare, osservare, percepire, assaporare e suggellare nell’animo istanti di bellezza e puro godimento: questo è Wabi Sabi.